Traversando i Cadini di Misurina

Sentiero attrezzato Bonacossa


Quando le Dolomiti ti entrano dentro è fatta, una sola volta basta e non te le scordi più, le sogni per un anno intero e poi arriva il momento. Questa escursione è nata lentamente, l’inverno scorso, un pezzo alla volta, davanti alla fiamma di una stufa a pellets, su di un tavolo in cui regnava confusione invaso come era dal PC, quaderno per gli appunti, matita, guide delle Dolomiti, dalla carta Tabacco delle Dolomiti di Sesto, ed ovviamente dall’immancabile bottiglia di Genziana; è nata seguendo quella miriade di linee rosse, tratteggiate, puntinate, crocettate della carta, ogni sentiero un sogno, ogni ferrata una fantasia e i sogni e le fantasie si sono rincorse sulle crode dolomitiche, su quei nomi di montagne molte famose, altre meno. Capita spesso, quando non si conosce il territorio, di compiere errori, anche grossolani, quello che ho compiuto quest’inverno è stato pensare che per attraversare i Cadini di Misurina servissero due giorni con inevitabile pernotto in quota; la realtà è stata una escursione giornaliera, sono state 6 ore di sentieri, ferrate, cengie, verticalità e panorami così incredibili che ogni più rosea, entusiasmante previsione potesse aspettarsi. Ovviamente il percorso, parlo del sentiero attrezzato Bonacossa , n°117 , carta di riferimento n°10, Dolomiti di Sesto, 1:25000, edizioni Tabacco, si può fare in entrambi i sensi, quello che noi abbiamo scelto va dal lago di Misurina al rifugio Auronzo, sotto le più famose Tre Cime di Lavaredo. Dalla sponda meridionale del lago di Misurina parte, per il rifugio Col De Varda, sia il sentiero che l’impianto della seggiovia (inizio del servizio alle 9); con l’impianto si risparmiano quaranta minuti e circa trecento metri di dislivello. Il Rifugio Col De Varda posto a 2105 mt è un panoramico balcone sul lago e sul monte Cristallo e Cristallino, nonché il punto di partenza del sentiero. Un comodo traverso in leggera salita taglia tutto il pendio sotto la bastionata dei Cadini formata dal concatenamento di tre vette, Cima Cadin del Lago, il Pilastro e la Gusela della Neve; sul lato opposto dell’arrivo della seggiovia, un cippo con una targa che è ben visibile già dal rifugio stesso ne sancisce l’inizio. Oltrepassata una leggera boscaglia davanti c’è tutto il filo del sentiero che attraversa i ghiaioni fino al primo obiettivo della giornata, la forcella di Misurina che è già a vista; il pensiero è già lì, in quella stretta e ripida e sembra ardita sella. Subito dopo l’inizio si oltrepassa un ripido canale di scolo e, quando si è nelle vicinanze della sella, diversi leggeri salti di roccia che rompono l’omogeneità del tratto iniziale; la forcella di Misurina posta a quota 2335 mt appare come uno stretto ghiaione, un canale detritico, molto ripido, e solo quando si è nelle sue immediate vicinanze si scorgono gradoni attrezzati ed un cavo che rendono più che agevole la salita. Sotto la sella il pendio del ghiaione è comunque considerevole, il comodo sentiero non deve in ogni caso alleggerire l’attenzione. La forcella è una stretta e sottile sella (45 min dall’inizio del sentiero), subito oltre, pochi metri oltre, si riprende in discesa, nemmeno il tempo di rifiatare; parte un tratto discontinuamente attrezzato con cavo e gradoni artificiali che scende ripido a superare facili roccette e sfasciumi fino a raggiungere il fondo della valle successiva (260 mt più in basso della Forcella di Misurina) , il Cadin della Neve, dove si intercetta il sentiero n°118 che sale e continua a fondo valle fino a raggiungere in alto alla nostra destra, la bella e già visibile forcella della Neve. L’ambiente si fa austero, aperto a Nord verso il fondo valle e dominato tutto intorno da bastionate ruvide. Per un breve tratto si segue in salita il sentiero 118, poi si attraversa la stretta valle e si risale dalla parte opposta l’evidente sentiero che guadagna quota con tanti e ripidissimi tornanti. I tornanti salgono velocissimi, se si guarda indietro si ha una bella prospettiva del sentiero che scende dalla forcella di Misurina e di quanto sia stretto e profondo il Cadin della Neve; salendo si aggira una grossa gobba rocciosa sfiorando verticali torri fino ad infilarsi all’interno di un canale, inizialmente roccioso, che si fa superare utilizzando tre agili scale; oltre queste , fino alla Forcella del Diavolo, il sentiero è caratterizzato da sfasciumi e ghiaia fastidiosa, per fortuna il tratto pur se molto ripido è breve e comunque sentierato. La Forcella del Diavolo, siamo nel frattempo risaliti a quota 2380 mt (3 ore) , è sovrastata da tre imponenti torri, Torre del Diavolo, il Gobbo e Torre Leo; sono sede di importanti e conosciute salite alpinistiche, come è capitato a noi, può succedere di sentire rumore di ferraglia provenire da quei pilastri e se si guarda bene si distingueranno cordate impegnate in una lenta battaglia con quei pilastri. Come per la precedente forcella, il tratto per riprendere fiato è breve e si riscende subito all’interno di una ampio canale detritico, il sentiero si avvita verso la valle sottostante, il Cadin dei Tocci e come è possibile è bene spostarsi sulla destra per togliersi dalla traiettoria della frequente caduta sassi. Il sentiero, evidente, traversa sul versante opposto sotto altri enormi bastioni e prosegue pressochè in piano scavalcando varie formazioni detritiche. In breve, superata la valle, si è in vista della sella successiva, il passo dei Tocci, quota 2360 mt dove, sovrastato dall’imponente Torre Wundt, gode di una posizione stupenda il rifugio Savio, sovraffollato di gente quando siamo passati noi. Si è quasi a metà del percorso, dal Cole De Varda sono passate circa tre ore. Allontanandosi dal rifugio in direzione del passo, sotto una targa che indica la ripresa del Bonaccossa, il sentiero riprende scendendo su una serie di gradoni profondi, qualcuno artificiale, e comunque protetti da un cavo metallico; dopo un breve tratto ripido vira decisamente a sinistra, all’interno di un canale a tratti protetto che scende rapidamente verso il Cadin del Nevaio, un ampio vallone che scende invece molto dolcemente. Occorre non farsi prendere dall’impeto del continuo e successivo scavalcare valli e selle per non infilare il marcato sentiero che sale tagliando il ghiaione verso la forcella che abbiamo di fronte, sarebbe bello farlo, condurrebbe al sentiero Durissini ma non è cosa per noi, almeno oggi. Il sentiero 117 continua all’interno del Cadin del Nevaio, in discesa, tenendo il centro della valle per il tratto iniziale e poi tagliando il versante sinistro fino a raggiungere l’ormai evidente e poco pronunciata Forcella di Rimbianco a 2176 mt (4 ore), che, poco prima della lunga cengia, attraversandola potrebbe permettere di spezzare il percorso e di scendere verso il lago di Misurina per l’omonimo Ciadin di Rimbianco; il Ciadin del Nevaio che stiamo invece per lasciare si abassa verso la bella e boscosa Val de le Campedele, laterale valle del Vallone di Auronzo. Ancora prima di arrivare alla Forcella di Rimbianco, è molto evidente la ancora lontana e lunga cengia che attraversa orizzontalmente il ripido fianco della Cima del Ciadin de Rimbianco; è molto lunga e molto esposta, la letteratura la descrive molto bene, facile da percorrere e protetta nei tratti più delicati; a vederla da lontano non ci sente esattamente rassicurati dalla letteratura, la sottile linea bianca che in molti tratti quasi nemmeno interrompe il verticale versante, sembra un filo precario in bilico nel vuoto. Non ci lasciamo suggestionare, quando saremo da quelle parti e toccheremo con mano ne sapremo di più. Dopo la Forcella di Rimbianco si traversa una suggestiva crestina, con alcuni resti di postazioni degli Alpini della grande guerra e con un piccolo ma suggestivo tratto attrezzato per superare uno spigolo esile ed esposto. Alcune svolte ripide e franose, su un sentiero scavato dallo scorrere dell’acqua e protetto verso valle da folte presenze di bassi pini fanno perdere un po’ quota e introducono alla lunga cengia. E’ larga, abbastanza per non far soffrire di eccessiva esposizione, alcuni tratti sono naturalmente protetti dai pini abbarbicati sul ciglio del precipizio, la valle sotto però, quando più quando meno è sempre incombente, profonda e in alcuni tratti letteralmente verticale. Sono questi i tratti protetti da cavo insieme a quelli dove il sentiero ne presenta altri franati o incerti. Ci si abitua presto all’esposizione, la cengia è davvero molto lunga, diverse centinaia di metri, il vantagio è che si ha tempo per assuefarsi all’esposizione; la concentrazione fa il resto e alla fine la cengia termina e davvero risulta meno impegnativa di quello che sembrava al primo approccio. E’ immediatamente dopo la cengia che inizia il tratto più spettacolare del sentiero, è difficile da descrivere, sono due momenti distinti, il primo dei due tratti spettacolari che ci aspettano è un enorme largo diedro, un grande spigolo acuto, interrotto da un piano inclinato che lo taglia obliquamente. Sotto il primo lato del diedro, un costone verticale alla nostra sinistra, a fianco e sotto la parete che spiove sopra la nostra testa, è magistralmente attrezzato un cavo e, al centro del piano inclinato, una scala a pioli metallica estremamente sicura; qualche piolo nella roccia dove mancano appigli sicuri o dove è più bagnata e pur se l’impressione è di salire un tratto abbastanza verticale il fatto che sia appogiato lo fa superare di slancio; occorre solo fare attenzione ai brevi ma frequenti tratti costantemente bagnati per cui 10 e lode alle protezioni ma guai a distrarsi. Questo primo tratto termina dopo una salto di una trentina di metri, sull’altra parete del diedro, quella che abbiamo di fronte , su una cengia attrezzata che gli corre alla base leggermente in salita. Si gode di una discreta esposizione, ma si è sempre ben assicurati, il senso di vuoto non si vive e quasi non ce se ne accorge; si superano poi alcune formazioni rocciose gradinanti dove il sentiero a tratti scorre sicuro e per altri brevi tratti, dove necessariamente gli scarponi devono affidarsi alla roccia viva, viene protetto con cavi. Siamo ormai quasi al termine del sentiero , verrebbe da dire purtroppo, fin quì è stato impegnativo ma molto divertente e stupefacenti panorami non sono mai mancati. Si è quasi fuori dal sentiero dicevo, ma le sorprese non erano terminate, stava per arrivare il tratto più bello del percorso. Quando questo spiana di nuovo, dopo un costone ripido che occorre aggirare su una piccola cengia, si spalanca un ambiente molto roccioso, severo, ruvido, il Ciadin de Longeres; verticali torri si susseguono l’una all’altra e seguendo il profilo di un profondo e ripido canalone detritico vanno a formare uno stretto e incombente anfiteatro. Un cengia scomposta, e pietrosa, segue il profilo della montagna, in alcuni tratti è ampia in altri stretta per delle frane insorgenti e sempre incombe il vuoto; non mancano le protezioni però ma solo nei momenti di più accentuata esposizione. Credo a causa dell’ambiente insolitamente chiuso, incombente e poco panoramico, unica situazione del genere in tutta l’escursione, questo è il tratto che incute più soggezione. Inutile descrivere quanto sia bello ed emozionante questo segmento, ma è breve ed una volta fuori la sensazione che si ricava è sempre la stessa; con passo sicuro, con l’entusiasmo addosso e quel pizzico di adrenalina che non guasta mai il dopo è sempre stato molto più facile delle credenziali di presentazione. Non vorrei si scambiasse questo giudizio per una banalità del percorso, tutt’altro, ma se si è abituati alle esposizioni e se si ha un passo certo nulla potrà apparire come un vero ostacolo. Oltre questa cengia si è ormai davvero in vista delle famose tre Cime di Lavaredo, ancora pochi tratti di sentiero che aggirano l’ultimo tratto dei Cadini di Longeries e si arriva all’omonima forcella a 2235 mt che fa entrare il sentiero sulla testa del vallone Auronzo. Una larga sella erbosa si abbassa e si rialza verso il rifugio Auronzo ormai a vista ma ancora lontano; a ridosso del rifugio, dominato letteralmente dalle tre Cime, da qui quasi irriconoscibili mostrando il lato meno fotografato e meno pubblicizzato, indubbiamente anche meno bello, esattamente sotto il rifugio ma ancora sulla vastissima sella erbosa, un altro cippo sancisce la fine, o per chi lo intraprende nel verso opposto al nostro, l’inizio del Bonacossa (6 ore e 10 min). Ad est si stende il lungo e profondo vallone d’Auronzo, il lago color smeraldo che costeggia tutta la cittadina, è il timbro che suggella la bellezza unica di queste montagne. Affamati e stanchi ma estremamente soddisfatti a questo punto sognavamo un lauto pasto al rifugio e nulla è stato peggio che sentirsi dire, alle tre e venti del pomeriggio, che le cucine erano chiuse; la fame l’abbiamo ingannata con due pezzi di torta. Superata la delusione, anche una leggera arrabbiatura a dire il vero, è risultata quasi logica questa defezione; l’Auronzo più che un rifugio è a tutti gli effetti una albergo, la strada che arriva fin lì, pur se a caro pedaggio, scarica migliaia di turisti e vacanzieri, moltissime persone di tutte le età per cui l’Auronzo può ridursi già ad obiettivo della giornata per tanti. Come contraddirli, il panorama che si gode da qua è assolutamente magnifico, l’altezza è quella dell’alta montagna, il ristorante panoramico permette di vivere un momento assolutamente appagante e va da se che le esigenze dei gestori siano ampiamente appagate. Pagano però, ma in senso negativo, gli escursionisti, soprattutto quelli che vengono da fuori e che non conoscono le abitudini di questo locale. Colpa nostra, che non ci siamo fermati per pranzare al Savio (ci si era pensato ma non ci siamo voluti appesantire con metà percorso ancora davanti) e che non abbiamo avuto voglia di fare quel chilometro o poco più che ci divideva dal rifugio Lavaredo dove certamente ci avrebbero accolto in altro modo. Pazienza, si è trattata in fondo dell’unica nota stonata della giornata. Dal rifugio Auronzo per comodo sentiero in circa un’ora e mezza, si ritorna al lago di Misurina; per chi ne ha abbastanza si possono prendere i pulman che partono ad orario, il biglietto si fa a bordo. Che rimane da dire di questa giornata e di questo sentiero attrezzato? Evitando le scale di difficoltà personali ed affidandomi a quelle ampiamente riportate sui vari siti di riferimento in cui la Bonacossa viene prudentemente descritta come moderatamente difficile, le mie suggestioni sono entusiastiche. E’ un tratto lungo, difficile quantizzarlo in chilometri (circa 8), viste le tante forcelle che si oltrepassano e i tanti saliscendi profondi che si superano di valle in valle. Fatti i conti in totale sono circa 1000 mt di dislivello da superare in sola salita e più o meno altrettanti in discesa, sempre molto alternati e discontinui che si portano a termine in circa 6 ore. Le esposizioni ci sono, a volte anche accentuate ma sempre o quasi sempre protette; quando non lo sono gli spazi sono ampi e mai si soffre o ci si sente in difficoltà. Certo, occorre quel minimo di esperienza che ti fa sentire in un ambiente familiare e il solito consueto passo sicuro. Insomma è un sentiero adatto a molti, ma non per tutti, molto molto remunerativo per la soddisfazione personale e per i grandissimi, immensi sempre diversi panorami che si godono lungo il percorso. Da dire anche che se viene fatto in periodi ancora primaverili e all’inizio dell’estate c’è il rischio, soprattutto nelle valli che si oltrepassano, di incontrare residui di nevai, cosa che può far perdere alcuni dei tanti segnavia disposti lungo il sentiero e nei punti strategici. I Cadini: è di certo uno gruppo poco importante all’interno delle magiche, strabilianti, nobili Dolomiti, ma vale la pena entrarci dentro, percorrerli e viverli; a seconda di dove sei, vedi profili slanciati, valli profonde e ghiaioni stretti interminabili, sempre un inseguirsi interminabile di picchi, torri e guglie; siamo lontani dalle bastionate della Marmolada, del Sorapis e del Catinaccio, seppur non manchino le altezze e le pareti verticali vertiginose in certi momenti sembrano le montagne come le disegnerebbe un bambino. E forse proprio per questo instancabile susseguirsi di profili accuminati questo gruppo è di una eleganza unica, cui difficilmente ci si abitua. Ultimo accenno al sorriso di Marina: stampato in faccia praticamente dalla Forcella di Misurina fino al rifugio Auronzo, solo il meritatissimo pranzo negato è riuscito a farlo spegnere. Ci siamo divertiti ed oggi, a distanza di poche settimane rimane solo una grandissima nostalgia di Dolomiti.